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Destinatari

A chi è rivolto il progetto?

I destinatari del progetto sono i familiari caregiver di persone affette da SLA domiciliate nel territorio dell’Ambito S1 e dei relativi distretti socio-sanitari di riferimento afferenti all’ASL ex Salerno 1 (DS n. 62 – Pagani – Sarno – S. Valentino Torio – San Marzano sul Sarno; DS n. 60 – Nocera Inferiore – Nocera Superiore – Roccapiemonte – Castel San Giorgio; DS n.  61 – Angri, Corbara, S. Egidio del Monte Albino, Scafati). Si stima di seguirne al massimo 20. Inoltre, attraverso l’implementazione di un sito web di progetto, si intende allargare l’intervento al maggior numero possibile di persone impattate dalla problematica, che potranno godere di informazione e formazione accessibile liberamente.

I dati di un rapporto Istat del 1998 raccontano che un italiano su quattro assiste un familiare, un vicino o un amico. Dal 1983 al ’98 il ritmo di crescita di questi assistenti è stato dell’8 per cento raggiungendo i 13 milioni. Di questi solo il 5,6% opera in organizzazioni di volontariato mentre quasi 10 milioni agiscono per conto proprio. I caregiver sono genitori per il 90%, amici e conoscenti per il 22%, figli non conviventi e nipoti per il 15%, vicini di casa per il 12% e fratelli per l’11%.

La maggioranza ha un’età compresa tra i 55 e 59 anni (è ipotizzabile che assistano i genitori tra i 75 anni e oltre) mentre l’età media è passata dai 43 anni del 1983 ai 46 di oggi. Un donna su quattro svolge un’attività a favore degli altri contro un quinto degli uomini. Una differenza ridotta in percentuale ma a guardar meglio i numeri si scopre una realtà diversa: ben due terzi delle ore prestate da tutti i caregiver (330 milioni di ore al mese, quasi 4 miliardi l’anno) sono  delle donne.

Rispetto agli effetti della condizione di caregiver sulla propria vita, il Censis evidenzia:

  • sgretolamento della sfera sociale e privata (60,4%);
  • vissuto di rinuncia (58,0%);
  • senso di svuotamento emotivo (38,9%);
  • insorgere di insonnia (51,9%);
  • stanchezza permanente (62,3%).

Ciò determina nel 72,2% dei casi assunzione di farmaci per fronteggiare le difficoltà esperite. Il livello di stress e di burn out raggiunto risulta ovviamente collegato:

  • al grado di avanzamento della malattia;
  • all’ampiezza del nucleo familiare;
  • alla possibilità di delegare ad altri seppur momentaneamente le proprie funzioni;
  • alla scarsità di supporti sociali esterni (centri diurni, assistenza domiciliare, etc.);
  • alle capacità economiche.

Tuttavia, questi livelli sono influenzati anche dalle caratteristiche individuali e situazionali degli stessi caregivers. Determinante risulta, dunque, l’attivazione di una rete sociale di protezione del singolo e del suo sistema famiglia.

La SLA, infatti, come qualsiasi altra malattia, è un evento critico che colpisce non soltanto chi ne porta i segni sul proprio corpo, ma tutta la famiglia che si trova costretta a fronteggiare il disagio personale, relazionale e organizzativo che da essa deriva. La malattia esige una riorganizzazione e un riadattamento reciproco concreti e simbolici, che occorrono a seguito del cambiamento e della ridistribuzione dei ruoli necessaria per vicariare le funzioni del malato non più sostenibili. Finisce così che all’interno della famiglia è un’unica persona, in prevalenza di genere femminile, a farsi carico degli oneri di cura, con tutte le ovvie ripercussioni in termini di benessere psico-relazionale.

La letteratura scientifica sugli effetti dell’esercizio del compito di cura sui caregiver non è vasta, ma sicuramente meno contraddittoria di quella riguardante i pazienti. Gli studi ne mettono in evidenza il forte impatto in termini psicologici, un impatto che aumenta parallelamente al progredire del male. La scarsa conoscenza dei sintomi man mano che questa evolve e, purtroppo, la solitudine nella quale molti caregiver si trovano a dover far fronte alla situazione, conducono spesso a far sperimentare loro un diffuso senso di incertezza e impotenza, angoscia e preoccupazioni che incidono fortemente in modo diretto sul benessere del caregiver, ma anche indirettamente su quello dell’assistito.

In una recente rassegna degli studi sull’argomento è emerso come siano veramente poche  le ricerche che indagano in modo approfondito il ruolo del caregiver di un paziente affetto da SLA soprattutto in connessione con la sua attività assistenziale. Ciò che pare accomunare i risultati della ricerca è che i caregiver spesso si ammalano a loro volta se non ricevono adeguato supporto lungo tutto l’arco della malattia del loro caro, fatto che mette in luce come quei benefici in termini di risparmio economico che si ottengono affidando l’assistenza alla famiglia non siano sostenibili alla lunga se il caregiver a sua volta non viene supportato nella sua attività.

L’offerta di un sostegno sociale che consenta lo svolgimento di alcune funzioni precedenti all’assunzione del compito assistenziale e il mantenimento di una visione positiva possono diminuire le probabilità che problemi di salute conseguano alle interminabili ore spese nella cura.